Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese (J.F.Kennedy)
Cosa possiamo fare per il nostro amato Paese ? Per farlo brillare alla luce delle proprie virtù ? Quale sistema politico servirebbe al Nostro Paese ? In teoria, la nostra Carta Costituzionale, forse la più bella del mondo, con la sua architettura, fatta di pesi e contrappesi, ha assicurato e in certa misura tuttora assicura il funzionamento di importanti garanzie e di tutela dei diritti civili e politici. Delle minoranze, anche linguistiche, religiose e culturali e delle “opposizioni”. Essa è frutto sapiente di compromessi e dialoghi condotti allora dalle forze migliori, nel contesto di un’Italia che aveva voglia di darsi regole repubblicane e slancio verso il progresso. Una costituente che fra i propri membri annoverava, al di là della collocazione politica, personalità di spicco quali Fanfani, Moro, Saragàt, De Gasperi, Terracini, Targetti e tanti altri.
Era l’Italia che da lì a poco avrebbe unito le forze a quelle degli altri paesi nei più alti consessi mondiali e in Europa, che avrebbe sostenuto l’istruzione, la sanità e il sacrificio degli italiani popolo risparmiatore, artefice di un periodo di ascensione sociale – sotto ogni profilo – e del tanto decantato “miracolo economico”. Che nostalgia !
Da allora – è lapalissiano – l’intero mondo è cambiato, le culture di massa, i rapporti economici mutati (e con essi rovesciati i rapporti forza economica dei Paesi) e la stessa sintassi istituzionale, a ogni livello, continua a subire cambiamenti. L’apparenza e la comunicazione prendono il sopravvento sulla funzione e i contenuti, la narrazione del consenso torna a essere mezzo di raggiungimento del consenso stesso, anziché strumento di divulgazione ai governati. Al culmine di tale distorsione (o evoluzione, secondo i punti di vista) giunge il fenomeno della democrazia liquida, on-line e falsamente diretta.
Ci siamo interrogati anche noi sull’origine di tale ascesa. E la risposta, almeno una prima risposta, risiede nella totale insoddisfazione verso l’attuale classe dirigente, o meglio, classe politica.
La reazione dell’elettorato che fino a un certo punto si è abituato all’alternanza e al bipolarismo ha portato gradualmente alla diminuzione di consenso dei partiti tradizionali e a un tripolarismo, conducendo alla ribalta movimenti (partiti) alternativi, sorti su di un ideale di società liquida e di democrazia diretta che ha raccolto le intenzioni e le speranze di quanti erano “stanchi” della politica tradizionale, d’altronde densa di persone prive di qualifiche e/o del tutto impresentabili. Si sono chieste onesta e competenza. Si è ottenuta, con buona pace di pochi, soltanto la prima.
La forza della destrutturazione della politica e, quindi, da un lato dell’ascesa nel consenso di nuove formazioni e, dall’altro, nella perdita di credibilità della politica nel suo complesso è aumentata col tempo, progressivamente e man a mano che cresceva il malcontento verso politici privi di un cursus honorum, delle competenze specifiche o anche solo di proprietà di linguaggio e comunicative indispensabili per chi sia esponente delle istituzioni o di un Governo. La “orizzontalizzazione” del dibattito resa possibile dai social network ha poi dato la possibilità agli osservatori di scrutare i desideri, le dinamiche e la dialettica di questa enorme piazza virtuale per esaminarli in dettaglio e, in taluni casi, cercare di sfruttarli a proprio vantaggio (di ogni tipo, sia esso politico, di schieramento o direttamente di promozione e interesse individuale).
Siamo quindi arrivati a comprendere che – oltre all’onestà, valore che ci pare scontato esigere – oggi gli italiani necessitano, più d’ogni altra cosa, di competenza, fonte di efficacia e di credibilità nel confronto (e del confronto stesso). Sia in chiave domestica che all’estero. Attualmente larghe fasce della popolazione si vede mortificata dal livello d’impreparazione di politici che siedono in posizioni d’assoluto rilievo e di Governo e che appaiono del tutto inadatti al ruolo ricoperto e, evidentemente, è inspiegabile se non con un’irripetibile fortuna le ragioni per cui molti politici hanno seduto e siedono tutt’ora nei massimi organi governativi. Per riprendere credibilità – anche nel dialogo con i partner europei e mondiali – e attrattività l’Italia ha bisogno delle forze migliori, dei ricercatori andati all’estero, dei funzionari d’eccellenza, degli imprenditori di successo, dei letterati, degli scienziati e non dei cosiddetti “POLITICI DI PROFESSIONE”. La storia ha condannato quest’esperienza, si tratta di prenderne atto.
Una risposta seria, razionale, non può certo essere quella di affidarsi a neofiti della politica ovvero a persone senza particolari e diffusamente riconosciute qualità e competenze operative.
Non si può affidare il governo della settima (pardon ottava) realtà produttiva mondiale a persone improvvisate venute dal nulla politico e professionale-operativo. D’altronde non si vede come un politico – privo di sufficiente preparazione di settore – possa comprendere, valutare e supportare l’azione di governo e della Pubblica Amministrazione. L’esistenza di una macchina burocratica, di sottosegretari, di direttori di dipartimento non esonera il politico dall’esser preparato. Anzi ! Richiede capacità di comprensione prima che d’interlocuzione per far sì che la moderna burocrazia risponda alle esigenze della collettività e alle direttrici politiche disegnate. Per far sì che la macchina amministrativa non sia né schiava né di se stessa né di forze politiche, ma che sia valutata, ascoltata e, ove occorra, corretta. Il che, torniamo a dire, esige competenza.
Da anni, si assiste alla formazione soprattutto in fase emergenziale di cc.dd. task-force o pool professionali costituiti per far fronte a problematiche complesse che necessitano approccio supportato da conoscenze e metodologie che la classe politica evidentemente non possiede. Riguardo a tale situazione si fanno due osservazioni. In primo luogo, pare che la competenza venga invocata come nume tutelare a cui votarsi nel momento di estremo bisogno, reputandosi quindi che la competenza sia indispensabile solamente “in caso di impellente necessità”, anziché considerare competenza e l’esperienza quali conditio sine qua non di accesso alle maggiori cariche dello Stato (sia governative che parlamentari, centrali e periferiche). In secondo luogo, il termine task-force viene spesso usato impropriamente. Infatti, con il termine “task-force”, mutuato dal gergo militare, s’intende indicare una struttura organizzativa costituita da un gruppo di esperti, provenienti da diversi settori di competenza e d’esperienza professionale, costituito appositamente per affrontare e risolvere un problema specifico (cfr. Dizionario Treccani www.treccani.it/vocabolario/task-force). Diversamente, nell’esperienza istituzionale italiana le task-force sono (o, meglio, necessariamente si limitano a essere) comitati consultivi, nominati dalla politica per supportare l’azione governativa, privi, quindi, di un vero potere decisionale. Così si realizza un paradosso: il competente propone e suggerisce e il politico – spesso del tutto incompetente in una data area disciplinare – ben può disattendere le indicazioni dell’esperto (cosa che molto spesso fa, con conseguenze che non è difficile immaginare).
Risulta allora ancor più evidente – nell’attuale scenario globale che impone rapidità e efficienza – l’insufficienza della passata costruzione politica che vede la competenza degli eletti come un carattere accidentale ed accessorio, laddove, al contrario, essa dovrebbe essere fondamentale e condizionare l’accesso al parlamento e agli organi di governo. In altre parole è il Governo che oggi più che mai deve divenire una vera task-force, per poter rispondere con rapidità e efficacia alle sollecitazioni provenienti dal futuro.
Occorre quindi passare, a nostro avviso, da chi è politico di professione a chi si rende Professionista al Servizio della Politica. Attorno a questa figura, da declinare nei vari ambiti d’intervento, ruota la nostra visione di politica.
Non stiamo certo richiamando il concetto di “aristocrazia” di Aristotele quanto piuttosto manifestando la necessità, ormai impellente, di una nuova proposta dalla società civile per riportare davvero al centro del dibattito politico, il merito, la ricerca, il lavoro e tutto quanto rappresenta, soprattutto all’estero, l’eccellenza italiana. Un pensatoio dove discutere delle principali linee guida per il futuro per far sì che questo martoriato Paese torni allo sviluppo e riconquisti nel mondo il posto che gli compete. Per far ciò non bastano le idee servono capacità e la forza di coagulare le donne e gli uomini migliori per un possibile Governo d’eccellenza, intorno a un’idea sociale che premi il merito e tuteli l’iniziativa privata, l’istruzione, la salute. Questo impone che alla guida del paese siedano persone dotate di capacità e esperienza ma soprattutto autorevoli e credibili.
Perché questa fase di delicato cambiamento non sia lasciata nelle mani di politici impreparati.
Nasce così, da queste semplici riflessioni, il progetto Il Governo che Vorrei.