Il turismo: un giacimento di petrolio non sfuttato
Il turismo rappresenta un asset economico primario per l’Italia pari non solo a più del 5% del Pil e oltre il 6 per cento dell’occupazione del Paese, dato per cui siamo leader in Europa, ma questo primato non rispecchia anche l’effettivo guadagno economico, il quale non è assolutamente soddisfacente rispetto alle potenzialità lasciate all’abbandono.
L’Italia, insieme alla Cina, è il paese che detiene il record di maggior numero al mondo di patrimoni dell’umanità dell’UNESCO con 55 beni nella lista nel 2019. Sono inoltre, al 2019, 41 i siti italiani candidati alla lista dei patrimoni dell’umanità. Sono oltre 360 milioni le notti trascorse dai turisti stranieri in Italia fino a ottobre 2019. Un numero in crescita del 4,4% che ha portato la spesa dei viaggiatori internazionali a 40 miliardi (+6%). Cifra che fa ben sperare sul fatto che si supererà abbondantemente il 2018 quando si raggiunsero i 41 miliardi. Il turismo resta per l’Italia una miniera d’oro che però secondo il ministero dei Beni culturali e del Turismo e l’Enit, l’Agenzia di promozione, va sfruttata molto meglio. Infatti, spesso questi patrimoni sono lasciati alle incurie delle regioni, all’avidità di privati, spesso stranieri, o alla libera iniziativa di organizzazioni no profit, che non hanno i fondi né il sostegno adeguato del governo.
Se il turismo è il nostro giacimento di petrolio si può dire che l’Enit, agenzia quasi sconosciuta, nella sua storia secolare, lo abbia sfruttato poco e male, sprecando l’occasione di promuovere nel mondo il nostro incredibile patrimonio, così cagionando enorme danno sia alla tutela dei nostri patrimoni sia alle casse dello Stato. La colpa, va detto, non è solo dell’Agenzia nazionale per il turismo e di chi l’ha guidata. L’Ente negli anni ha sofferto fondi con il contagocce, commissariamenti, il fai da te delle Regioni e la tentazione di più di un Esecutivo di cancellarlo perché considerato un inutile carrozzone. In quando, le classi politiche, non hanno mai avuto la forza e istruzione per comprendere a pieno la potenza economica che potrebbe derivare dal turismo.
L’Agenzia nazionale italiana del turismo, che ha mantenuto il nome breve ENIT dell’Ente Nazionale italiano per il turismo, suo predecessore, è un ente pubblico economico che dovrebbe operare nella promozione dell’offerta turistica italiana. L’ENIT, quindi, avrebbe il compito di promuovere l’immagine unitaria dell’offerta turistica nazionale, una delle più ricche al mondo, e da favorirne così la commercializzazione.
Dotata di autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione, l’Agenzia nazionale del turismo è sottoposta all’attività di indirizzo e vigilanza del Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, o semplicemente Dipartimento per il Turismo, che è stato un dipartimento, spesso retto da un sottosegretario o da un ministro senza portafoglio, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, organo del Governo italiano. Il ministro senza portafoglio, non ha l’autonomia di spesa e quindi, per ogni provvedimento che prevede una modifica di bilancio, deve avere l’approvazione a maggioranza semplice del Consiglio dei Ministri. Ne consegue che il ministro senza portafoglio, a differenza del ministro con portafoglio, prima di avere l’accesso ai fondi statali, deve presentare un progetto al Consiglio dei Ministri, progetto avente ad oggetto cultura arte e storia e quindi spesso sottovalutato dalla classe politica e scartato a priori. Infatti, negli anni si sono sempre più ridotti gli investimenti nel turismo, nella conservazione dei siti e nel restauro degli stessi, basti pensare agli innumerevoli crolli di Pompei, o alla commercializzazione straniera dei biglietti del Colosseo, un costante taglio di fondi e mancanza di interesse a quello che è il cuore pulsante dell’economia italiana. Un suicidio storico ed economico, frutto di stupidità, ignoranza e disinteresse delle classi politiche verso la bellezza e la cultura, le quali non sono idealismi da poeti o cuori grandi, ma sono fonti inestimabili di ricchezza, lavoro e solidità sociale.
È veramente pensabile che in Italia, paese che trabocca di storia, cultura e arte si possa tenere questo settore sorretto da enti senza poteri decisionali né di spesa? Il turismo è senz’altro la più florida, sicura, stabile fonte di ricchezza e di lavoro in tutto lo stivale, ma necessita come ogni materia preziosa di lavorazione, progettazione e una visione commerciale volta non solo alla tutela, di questi inestimabili patrimoni, storici, culturali e sociali, ma soprattutto economici, ma alla loro commercializzazione. Quindi necessita di più fondi, di autonomia gestionale e di spesa, ma anche di un progetto unico su tutto lo stivale che esalti i nostri gioielli e li renda economicamente fruttuosi per lo Stato. Per questo si auspica la nascita di un ministero che diriga la tutela dei beni culturali, paesaggistici e storici dell’intero paese per una migliore e proficua commercializzazione e promozione, la quale, anche se abbandonata, continua ad essere un perno fondamentale dell’economia nazionale, ma che se sfruttata potrà diventarne il cuore pulsante, forte della resistenza e della bellezza propria delle cose antiche.
La distribuzione sul territorio
La distribuzione della spesa turistica sul territorio nazionale appare più concentrata di quanto non lo siano le risorse turistiche, col rischio di uno sfruttamento limitato di alcune e di sovrautilizzazione di altre. Le regioni del Nord Est e del Centro intercettano la gran parte dei flussi turistici internazionali, anche grazie alla presenza di Roma, Firenze e Venezia, città che pressoché tutti i turisti stranieri mirano a visitare almeno una volta: nel 2017 l’incidenza di queste due macroaree sulla spesa degli stranieri era del 27 e del 33 per cento, rispettivamente.
Il Nord Ovest ha solo di recente visto rafforzarsi la propria posizione nei confronti dei viaggiatori internazionali, arrivando a rappresentarne il 25 per cento della spesa, anche beneficiando dei grandi eventi ospitati da città come Milano e Torino (cfr. il riquadro: Effetti di lungo periodo dei grandi eventi: i casi del Grande Giubileo del 2000 e delle Olimpiadi invernali del 2006).
È soprattutto nel Mezzogiorno però che appare più evidente lo scollamento fra flussi di viaggiatori internazionali e potenziale turistico: sebbene l’area rappresenti il 78 per cento delle coste italiane, ospiti i tre quarti del territorio appartenente a Parchi nazionali e accolga più della metà dei siti archeologici e quasi un quarto dei musei, nel 2017 la spesa degli stranieri nel Mezzogiorno era pari ad appena il 15 per cento del totale, per quanto in miglioramento dal 10 della fine degli anni Novanta. Anche la spesa dei turisti italiani è notevolmente concentrata a livello geografico, con il Nord Est che assorbe più d’un terzo della spesa totale (cfr. il riquadro: Ripartizione territoriale della spesa turistica domestica).
Il Mezzogiorno segue con il 25 per cento, grazie ai buoni risultati del turismo estivo e balneare, che in parte compensano un’ancora bassa capacità attrattiva nel turismo culturale, nonostante la ricchezza del suo patrimonio artistico-culturale. Nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno i flussi turistici domestici appaiono particolarmente autocontenuti, con una quota di presenze di residenti nella stessa area più alta di quella registrata nelle altre regioni.
Nell’insieme, emergono spazi da sfruttare per trarre pieno beneficio dalle potenzialità del settore, soprattutto nel Mezzogiorno, dove le attività turistiche appaiono ancora relativamente sottodimensionate e dove, dato il ritardo di sviluppo dell’area, maggiori potrebbero essere i benefici in termini d’impatto su prodotto e occupazione (cfr. il riquadro: Turismo e crescita nelle province italiane). A un livello più disaggregato, nell’ultimo decennio tutte le aree, ad eccezione del Mezzogiorno, evidenziano una tendenza al progressivo aumento della concentrazione dei flussi turistici. Vi ha inciso la ricomposizione delle tipologie di viaggio in favore delle motivazioni culturali, naturalmente dirette verso un numero più ristretto di località. Lo stesso turismo culturale si è però ulteriormente concentrato su alcune destinazioni: se all’inizio degli anni Duemila le prime quattro province raccoglievano circa il 60 per cento della spesa dei viaggiatori stranieri per motivi culturali, la stessa quota è ora poco al di sotto del 70 per cento. Anche all’interno delle macroaree diverse dal Mezzogiorno emerge quindi una ridotta capacità di diffusione dei flussi turistici su un più ampio novero di località, con un sottoutilizzo di potenzialità esistenti e un sovraccarico dei flussi in poche realtà a rischio di congestione. Lo straordinario sviluppo del turismo mondiale rappresenta in effetti un’opportunità di crescita che il nostro Paese può capitalizzare solo a patto di riuscire a governare i rischi di sovraffollamento che vi si accompagnano.
In Italia come in altre destinazioni turistiche consolidate, il fenomeno del sovraturismo è fonte di crescente preoccupazione soprattutto per le aree intensamente inurbate, dove esso pone problemi non solo di salvaguardia del patrimonio artistico ed ambientale, ma spesso incide direttamente sulle infrastrutture e sul tessuto urbano, a discapito delle condizioni materiali di benessere della popolazione residente. Le esternalità negative derivanti da fenomeni di congestione, l’aumento del costo della vita per i residenti, gli effetti redistributivi dell’incremento dei valori immobiliari nei centri urbani sono alcune delle conseguenze indesiderate di una presenza turistica di massa. Nel futuro, le politiche per il turismo saranno sempre più chiamate a valutare questi costi potenziali e a disegnare strategie che permettano di coniugare la crescita turistica con la sua sostenibilità. Questo sarà tanto più necessario quanto maggiore sarà il successo del Paese nell’attrarre i turisti provenienti dai paesi più lontani e a maggior potenziale di crescita, sui quali le nostre principali città d’arte esercitano un comprensibile richiamo, che rappresenta un vantaggio comparato per il nostro Paese.