Cos’è un dogma?
Un dogma è qualcosa che si assume per giusto, per corretto ed assolutamente perfetto, qualcosa da accettare con pensiero acritico. Non a caso tale termine, nonché tale contegno, sono normalmente assunti rispetto ad un principio religioso, per antonomasia estraneo ad un intervento umano e dunque, considerati aprioristicamente giusti e immutabili.
Ebbene molto spesso il medesimo timore reverenziale, lo stesso ostracismo a qualunque modifica e perfezionamento, viene rivolto al nostro sistema legislativo. Ma siamo sicuri che un sistema per quanto lodevole non sia perfettibile? Come può il trascorrere del tempo e l’osservazione delle criticità non stimolare una voglia di miglioramento?
La risposta è probabilmente ancorata ad una amara consapevolezza, e cioè che lo spessore giuridico, culturale e professionale di coloro i quali avevano disegnato questo articolato meccanismo di pesi e contrappesi, è totalmente assente nella attuale classe politica, alla quale troppo spesso mancano le specifiche professionalità per poter svolgere consapevolmente la loro funzione al meglio.
Dunque pur volendo lasciare a chi ha conoscenza e capacità, l’arduo compito di decifrare il “come” perfezionare il funzionamento del vero faro democratico della nazione, potrà essere utile un’analisi volta ad evidenziare i dati che prepotentemente emergono dall’osservazione della macchina legislativa.
L’esperienza parlamentare italiana, basata sul c.d. bicameralismo perfetto, ha in più riprese manifestato l’inadeguatezza a interpretare e trasformare in legge in tempi ragionevoli, le necessità ed i bisogni del paese.
Questa realtà diviene agevolmente percepibile se si attua una comparazione con gli altri sistemi parlamentari europei, operazione utile a raccogliere dati che offrono oggettivo suffragio al reputare ragionevole immaginare una seria innovazione. Il dato ad una prima lettura potrebbe effettivamente apparire confortante, il parlamento italiano infatti impiega in media 247 giorni per l’approvazione di una legge, risultando più lento del parlamento spagnolo (ove il senato può respingere per una sola volta le leggi approvate dalla camera), ma uscendo vincitore dal confronto con il sistema francese ove i tempi medi arrivano a circa 326 giorni.
Tuttavia, da un’analisi più attenta dei dati, emerge in maniera inconfutabile una preoccupante realtà, la media dei 247 giorni impiegati dal parlamento italiano viene fuori prendendo in considerazione i 180 giorni che mediamente vengono impiegati per l’approvazione di leggi di iniziativa governativa ed i 504 necessari in media per l’approvazione di leggi di iniziativa parlamentare, tempo largamente maggiore di quello impiegato in Spagna o in Francia, ove l’intervento parlamentare riesce ad essere nettamente più efficace e tempestivo richiedendo rispettivamente 150 e 399 giorni.
Tanto premesso, è necessario domandarsi quali siano gli argomenti trattati dalle leggi che richiedono un iter considerevolmente più lungo per essere promulgate dal parlamento italiano. Ebbene mentre il parlamento impiega circa dai 13 ai 40 giorni per la conversione dei decreti, della ratifica di trattati internazionali o leggi governative su cui viene posta la questione di fiducia, per le leggi di iniziativa parlamentare, specie quelle più rilevanti sulle quali il dibattito tra le aree politiche e la mancanza di coesione dilatano il processo, il tempo necessario aumenta enormemente richiedendo sino a 1200 giorni.
E’ palmare che vi sia una vera distorsione del sistema, per il quale lo strumento del decreto, ideato in teoria come mezzo a cui ricorrere solo in evidenti casi di necessità ed urgenza, si è trasformato nel metodo tradizionale per una rapida approvazione delle leggi. Il parlamento dunque viene destituito del suo valore rappresentativo e trasformato in una sorta di istituzione burocratica meccanicizzata che, salvo alcune eccezioni, si occupa per lo più di ratificare l’operato dell’esecutivo.
Ha senso dunque reputare alla luce di queste considerazioni che l’attuale sistema parlamentare bicamerale sia l’unico in grado di garantire un efficace controllo sull’operato del governo e che pertanto sia immodificabile pena la caduta del sistema democratico?
Un’istituzione agile, disegnata per essere funzionale e non ridondante, che riesca a concretizzare le necessità ed i bisogni della nazione senza dover dipendere in tutto e per tutto dal lavoro dell’esecutivo non riuscirebbe ad essere in modo più efficace, la concreta garanzia di quella rappresentatività popolare sancita dalla Costituzione?
Sono queste le considerazioni per le quali forse oggi non è opportuno marchiare come eretico e nemico della democrazia colui il quale immagina una seria e ben ponderata innovazione dell’istituzione legislativa del Paese, scevra da vetuste meccaniche che hanno abbondantemente dimostrato negli anni la loro inadeguatezza a raggiungere lo scopo.
Come spesso accade, ci si accorge di avere un problema, dall’analisi dei sintomi per poi elaborare una diagnosi ed approntare una cura, lo Stato oggi è un malato che certamente versa in gravi condizioni, tuttavia bisogna convincersi di una grande verità e cioè che questa è una patologia curabile.
Troppo spesso ci si è arroccati sulla confortante rassegnazione che ci vede inermi rispetto alle dinamiche contorte della realtà socio-politica del nostro paese, troppo spesso ci siamo rifugiati nella nostra “confort zone” convincendoci che questo fosse il miglior sistema possibile e che cambiare anche solo un piccolo ingranaggio avrebbe causato una deriva distruttiva dell’intero sistema paese. Ebbene è arrivato il momento di affermare che tutto ciò è falso! La deriva del nostro paese, almeno quella democratica, è già avvenuta, è sotto gli occhi di tutti, e continua ad aggravarsi ogni giorno da anni, è una deriva autoritaria antidemocratica e persino antieconomica e purtroppo, o per fortuna, non più sostenibile.
La breve analisi elaborata in precedenza fornisce un dato assolutamente chiaro, lo stato italiano, da anni, resta legislativamente inerte se non interviene il governo de imperio a indicargli cosa fare. Questo dato di fatto rappresenta il vero grande vulnus democratico del nostro paese, più di qualunque modifica finalizzata a restituire al parlamento la sua principale funzione, cioè quella di emanare leggi utili al paese, in tempi e modi compatibili con le esigenze della collettività!
Come mai l’unico strumento democratico di rappresentanza popolare è stato di fatto estromesso dalla vita del paese?
Non è più ammissibile accettare passivamente che le leggi di questa nazione non siano più frutto del confronto tra più persone rappresentative delle anime del paese, e che non siano democraticamente sviluppate ed approvate ma che si riducano ad essere la scelta autoritaria di pochi membri dell’esecutivo, non ci si può accontentare di una mera parvenza democratica. Dall’avvio della XVIII Legislatura (23 marzo 2018) sono stati emanati 51 decreti-legge (4 deliberati dal governo Gentiloni, 26 dal governo Conte I e 21 dal governo Conte II); di questi 38 sono stati convertiti in legge, Dall’inizio della XVIII Legislatura (23 marzo 2018) sono state approvate 108 leggi (38 leggi di conversione di decreti-legge e 70 altre leggi ordinarie, 39 di iniziativa governativa, 29 di iniziativa parlamentare e 2 di iniziativa mista popolare e parlamentare). Tali numeri sono assolutamente impietosi, tra conversioni di decreti legge e leggi ordinarie di iniziativa governativa, lo stato si fa carico di un numero di parlamentari assolutamente spropositato rispetto alla funzione che ricopre, pertanto, più che una riduzione degli stessi, sarebbe doveroso un rinnovamento del meccanismo con il quale si realizza la funzione legislativa che restituisca efficacia a tale ruolo primario della vita repubblicana garantendo una reale democrazia rappresentativa ad oggi impunemente negata nel silenzio di tutti.